Tempo fa durante un incontro con il guru della rete Steven Berlin Johnson nell’ambito della bella iniziativa ‘Meet the Media Guru’ qualcuno gli chiese se ad un certo punto la evoluzione portata da internet avrebbe comportato globalmente un ‘saldo attivo’ o meno in termini economici, finanziari, occupazionali. (for english see below)
In soldoni: la già riscontrabile e progressiva dissoluzione di intere catene di intermediazione; la globalizzazione e conseguente svalutazione di beni e servizi ormai resi in condizioni di concorrenza al ribasso e con guadagni strutturalmente marginali; l’eccesso di offerta che rende l’intercettazione della domanda un costo insostenibile, etc. preparano un mondo con più opportunità e ricchezza per più persone (e più imprese) o il contrario? E se la prospettiva è positiva, come si potrà gestire la transizione e i suoi inevitabili contraccolpi?
Il guru rispose con un tipico eufemismo anglosassone: “interesting question!” senza aggiungere altro di illuminante. Forse non ci aveva pensato.
In realtà tutti ci stanno pensando, anche e soprattutto nel mondo delle imprese: il vuoto fra chi vorrebbe ‘fermare il mondo’ e chi confida nelle sue sorti progressive e nell’auto-aggiustamento del tutto sembra incolmabile. I denigratori del progresso ogni volta ogni volta arrivano impreparati al cambiamento e la loro pensosa attitudine non ha mai rallentato di un secondo l’avanzare del Nuovo. Ma anche gli entusiasti sono perlopiù mosche cocchiere: salgono a bordo che le cose sono già avvenute, quasi scontate ormai. Per gli uni e per gli altri la tattica inevitabile sembra essere l’adattamento, visto che la razionalità umana e i nostri sistemi sociali ed economici finora non hanno imparato a controllare nemmeno i processi evolutivi da noi stessi provocati. Ma esiste un atteggiamento o una strategia razionali per metter(si) in atto (ne)il cambiamento senza subirlo? Essi sono trasferibili dall’individuo alle imprese ed alla società nel suo complesso? Oppure l’innovazione la possono raccontare solo a posteriori i sopravvissuti?
immagine: il rendering del progetto del 1914 di Antonio Sant’Elia (il grande architetto morto poco più che ventenne nella Grande Guerra) ci mostra una Londra ‘futura’ che in realtà non è mai esistita.
<FOR ENGLISH READING FRIENDS>
Some time ago during a conference in Milan the web-guru Steven Berlin Johnson was asked if the trade-off (in terms of economics, financials and employment) to be expected by the ‘internet revolution’ would be positive one.
In other words: the short-cut in intermediation, the globalization and resulting comoditization of goods and services, the resulting price competition and lower margins, offering structurally exceeding demand, etc. are all bestowing us with more opportunies and richness for people and enterprises, or is it the other way round? And – in any of the cases – how will the complex transition be dealt with?
The speaker answered with a typical anglosaxon understatement: “interesting question!” but did not add much more.
Everybody in fact is asking himself the same question. The void between the ‘let’s stop the world’ attitude and the total confidence in the ‘let’s things adjust by themselves’ has never been so wide. Detractors of progress are always caught unprepared by definition and their pensive posture has never delayed progress by a second. But also the enthusiastics seem to be barely getting on board when the New is already full-fledged and blue-water sailing.
Both attitudes are nowadays cornered in the inevitable routine of adaptation because human rationality (and its social and economic systems) has not fully learned to control evolutive processes not even if they provoked by itself. So being, is there any rational strategy that can ease change? Can this strategy be generated at an individual level or/and be transferred to enterprises and the whole society? Or is innovation in the end a storytelling routine reserved survivors?
image: the rendering of Antonio Sant’Elia’s project (the great italian architect died in WW1 barely over 20 y.o.!) shows us a London of the future that actually never came by.
È tempo di ripensare ai fondamentali delle economie.
Mi spingerei ancora oltre: la globalizzazione è compatibile con l’economia di mercato? Oppure implica accezioni così estreme dei termini concorrenza, offerta, domanda, da comportare un superamento (stavo per scrivere dissolvimento) del capitalismo così come siamo abituati a conoscerlo?
Oggi ho acquistato una app per il mio Ipad. Molto bella, funzionale, direi perfetta. Sapete quanto è costata? 4 euro e 90…… Io, da utilizzatore e consumatore finale, ho colto solo il beneficio di una transazione così vantaggiosa, ma qualcosa mi dice che nella lunga catena che ha portato la mia app nell’appstore qualcosa a me incomprensibile deve essere successo; qualcosa che ha reso insignificante, ad esempio, il concetto di costo dei fattori………….
La tua riflessione è al centro del blog. Quello che ci interessa è la via di fuga praticabile fra i due termini (apparentemente inconciliabili) della contraddizione di cui parli: un apparente vantaggio catastrofico.
Ci sarebbe da scrivere per ore. La prima considerazione è che è cambiata la velocità del cambiamento: sia in termini di rapidità delle innovazioni sia in termini di propagazione delle medesime. Con sistemi che vanno a velocità diverse, le “cose” non possono che divergere: l’adattabilità rimane l’unica costante. un equilibrio, nonostante quello che appare, è sempre dinamico. il punto di partenza, ritengo, dovrebbe essere la capacità per gli individui di adattarsi, così di riflesso si adattano anche le organizzazioni. Se però andiamo avanti a formare bambini, ragazzi e adulti con sistemi non solo superati, ma che nel momento stesso in cui vengono “fruiti” o erogati, diventano superati, creiamo schiere di persone “non-adattabili”…
Interessante stimolo e sì, sono d’accordo, se ne potrebbe parlare per giorni.
Un atteggiamento positivo (parlare di strategia mi sembra un azzardo) per cogliere il Nuovo senza demonizzarlo e salvaguardare lo Storico senza essere distruttivi sia saper coniugare la “tipica curiosità ed intraprendenza dei bambini” con “l’esperienza e la consapevolezza degli adulti” … esercizio funambolesco ma molto stimolante!
Laura, interessante riflettere sul senso di categorie come Nuovo e Storico. Ci torneremo.
Leggendo la riflessione, il primo pensiero è andato all’analisi degli opposti. Se la tecnologia accelera i processi, velocizza la gestione del tempo, si sono radicate opposte tendenze che tendono a premiare la lentezza, la praticabilità, esaltandone i benefici: slow food, slow movement e, ultimo, slow reading. Il capitalismo finanziario e non più di prodotto, ha trovato nello sviluppo della tecnologia un volano moltiplicatore che ha globalizzato sì i mercati, ma anche le speculazioni. La rete ha consentito una maggiore apertura all’informazione e alla conoscenza di realtà politiche che, abusando della forza si sono imposte come dittature in paesi coperti da una cortina di silenzio. Nel conto dei vantaggi e degli svantaggi le ragioni a favore o contro sono molte e diverse. Penso che nell’industria, il cambiamento dei processi di produzione e gestione del modello di business, non possa più prescindere dalla tecnologia. Ritengo, tuttavia che, l’industria rappresenti solo un elemento dell’economia e un equilibrio tra le forze che la compongono debba tenere conto anche dei fattori sociali e culturali. Pertanto, dove è possibile e necessario auspicherei un modello di decrescita serena.
Grazie del tuo commento articolato che condivido, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della tecnologia. In effetti l’equazione del cambiamento è molto più complessa di quanto il risultato (saldo attivo o passivo?) possa semplicisticamente pretendere: nel suo ‘svolgimento’ l’equazione rivela passaggi che sono in qualche modo molto più interessanti del risultato stesso e che travalicano persino l’analisi economica in senso stretto. Insomma, come sempre la via è più interessante della meta. Proveremo nel prosieguo a capire come giochi in tutto questo la tecnologia.
I think organizations and governments have long given up on managing change appropriately. There is no one out there (including in governments today) who will help ease the rapid pace of change for their constituents. I think we have to manage change for ourselves, take responsibility for ourselves and if we are leaders of organizations we have to help the people we work understand that to thrive, they cannot stand still. I personally think that building time for reflection and discussion is important as is ongoing development and learning. Reflection and development/learning helps people see what is possible. When a person sees what is possible, it is very hard to keep that person from innovating, changing, and making things happen.
I heard an interesting Ted Talk this week about how people are making a difference through the use of technology. In the past, I’ve often thought technology was taking the place of good old fashioned relationships. I’m not convinced it isn’t, but this particular Ted Talk reiterated for me that it is the individual who understands his/her goals in life, sees what is possible, imagines the world they want to live in and then goes after it that will in the end truly make a difference. They are not waiting for someone to do something for them, they are making it happen. It’s the only way to talk control. Here is that Ted Talk: http://www.youtube.com/watch?v=Zs0pKCTI954