La realtà non è sempre un parallelepipedo regolare, men che mai un cubo equilatero. Anche le forme di rappresentazione e valutazione del business devono evolvere e come l’architettura puntare a rappresentare e realizzare forme insieme più ardite e sostenibili. Foto di Ricardo Gomez Angel, La Allianz Tower di Zaha Hadid a Milano.
Tutti sanno che quando si vuole affrontare un’innovazione di qualsiasi genere, che si tratti dell’introduzione di un nuovo prodotto oppure dell’ingresso in un nuovo mercato o di una nuova modalità distributiva o di un investimento in macchinari o tecnologia, lo strumento cardine è la formulazione di un piano detto anche Business Plan (bp). Questo è un altro elemento in comune con le start-up, che devono formulare un Piano convincente nel tempo per chi deve prendere la decisione di investire e nel contempo sia utile a loro come strumento di navigazione nel futuro.
Lo scopo principale di un bp è fornire indicazioni su quando e di quale entità possa essere il ritorno sull’investimento. Ma il bp è anche uno strumento analitico e di dialogo con le controparti. È un bene che si possa discutere delle compatibilità fra le grandezze che ne risultano ed è anche un bene che si metta in questione la “veridicità” di quello che si è scritto lì dentro.
Le chiavi fondamentali di un bp (d’ora in avanti qui è sinonimo di Piano Strategico) sono essenzialmente tre e fra loro correlate:
1. la linea dei ricavi;
2. la linea dei costi (direttamente collegati alle quantità di prodotto o indirettamente sostenuti a prescindere (o quasi) dalle quantità prodotte);
3. il tempo.
Sembra una cosa semplice, quasi meccanica, e in effetti il formalismo di un bp è quasi elementare, tanto che se ne trovano esempi a profusione anche su internet. I modelli presentano due forme tabellari: un conto economico che dice della redditività nel tempo ed un piano finanziario che mostra il fabbisogno di liquidità ad esso correlato. Ma con quali criteri e ragionamenti viene alimentata la prima riga, quella dei ricavi?
Ma allora come mai (soprattutto le start-up ma anche le start-over) sbagliano i bp? Come mai i loro Piani diventano spesso lettera morta? Quante volte ho sentito dire: “non abbiamo tenuto conto di troppe cose imponderabili“; “non mi ci riconosco più; troppi cambiamenti, troppe ipotesi che si accavallano“; “è impossibile gestire la realtà con un piano“; “fra noi manager non intendevamo le stesse cose; non abbiamo mai raggiunto un effettivo allineamento sulle ipotesi di ricavi e così abbiamo sottostimato gli investimenti“.
In effetti la tentazione di andare avanti a braccio o rinunciare diventa spesso insopprimibile e c’è sempre qualcuno in azienda che rimane solo con il cerino in mano. Gli altri stanno a guardare e – come nel caso degli insuccessi della nazionale di calcio – tutti forniscono spiegazioni a posteriori degli errori altrui come se fossero argomentazioni a priori. A posteriori si può solo dissociarsi da un insuccesso o salire sul carro del vincitore: non è questo il contributo più utile.
In effetti prevedere il futuro o soltanto le variabili che entreranno in gioco nel futuro al momento di una decisione è un compito quasi impossibile. Il fisico italiano Rovelli nel suo libro di grandissimo successo esemplifica bene come divergano le prospettive fra i fisici teorici e quelli che sperimentano: i primi dovrebbero offrire ai secondi un quadro nel quale i risultati delle prove di questi ultimi assumano un senso decisivo; non solo ma consentano di anticipare altri e nuovi effetti. Bella sfida! I pragmatici si lamentano sempre dell’incompletezza e incoerenza del quadro teorico e i teorici fanno notare come sia complesso il quadro complessivo e come anche la sperimentazione tenda ad allargarlo a dismisura anziché restringerlo. Quindi non è colpa di nessuno e, anche se è un compito arduo, proverei a renderlo un pochettino più semplice, o almeno a dare qualche dritta per orientarsi meglio.
Partiamo da una questione di base semplice semplice: i piani economici non sono rappresentazioni esatte della realtà, né uno strumento che possa tendere ad una perfezione incontestabile. Se per elaborarli ci perdiamo il doppio del tempo, saranno sbagliati di un grado doppio (o anche triplo); se li rifacciamo a freddo all’in- finito raffinandoli ogni volta di più con passione e accanimento, l’errore potrebbe tendere all’infinito. Proviamo invece a pensare ai bp come a uno strumento razio- nale per raggiungere un certo grado di condivisione fra noi e i nostri collaboratori e tutte le persone coinvolte, … CONTINUA
Questo è il secondo di una serie di estratti dal libro ‘Senza aspettare Godot’ nel quale si affronta il tema dello sviluppo attraverso un’analisi di contesto dell’impresa industriale italiana e dieci semplici ricette imprenditoriali per passare all’azione.
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