In una certa fase della sua evoluzione la tecnologia dell’informazione, ampliando la sua originale funzione computazionale, è entrata direttamente nel controllo dei processi produttivi determinandone una fortissima trasformazione in termini di efficienza e flessibilità e spezzando il tradizionale legame industriale fra uomo e macchina. Poi, con la diffusione fortissima della tecnologia digitale e la miniaturizzazione spinta dei componenti, è entrata addirittura nei prodotti portando ad una straordinaria evoluzione delle loro funzioni; al punto che nessuno di noi è ormai in grado di sfruttare a fondo tutte le funzioni contenute in un normale elettrodomestico. (for english readers see below)
Adesso la tecnologia ICT è direttamente nelle mani degli utenti e li segue ovunque attraverso la combinazione dei loro apparati client e della rete: tutte le funzionalità presenti nella rete (e tutti i sistemi di relazione definiti attraverso di essa) sono sostanzialmente a disposizione di tutti gli apparati che usiamo per comunicare, siano essi pc, portatili, tablets o smartphones o anche TV e tra poco elettrodomestici, automobili, etc. Ogni volta che abbiamo con noi uno di questi apparati (presto anche il nostro orologio) veniamo come immersi in quello che Kevin Kelly definisce il ‘technium’, uno strato talmente pervasivo di connettività ed applicazioni da apparire inestricabile e senza limiti. A ben vedere questa evoluzione (che risulta evidente con l’avvento del personal computer) è iniziata almeno dalla invenzione della radio, con la quale si avveravano già tutti i presupposti di un mondo fortemente interconnesso in tempo reale.
Dall’avvento del telefono cellulare e la sua convergenza con la evoluzione del personal computer (e di internet) il quadro è cambiato in maniera non più lineare ma quadratica: siamo in grado con una spesa non proibitiva di essere interconnessi fra di noi e con il resto del mondo (aziende, istituzioni, gruppi di interesse, media, associazioni, etc.) senza intermediazione gerarchica, costantemente parte di un dialogo che non ha né inizio né fine. Questo è il risultato della accumulazione e stratificazione contemporanea e a tutti i livelli di tutti i componenti della rivoluzione digitale: pc, cellulari, rete internet, smartphone, applicazioni, web, contenuti mutimediali, apparecchi digitali, banche dati, etc.
Difficile trovare una metafora equivalente: si parla di piazza telematica o di mondo della rete, di comunità virtuale o di società dell’informazione, ma nessuna di queste espressioni restituisce un’immagine adeguata. Forse è proprio cloud la parola (un po’ platonica) che dà meglio l’idea: un medium quasi immateriale, sovra-ordinato e insondabile in cui sono contenute tutte le risorse che consentono la connessione di tutto con tutti. In questo contesto anche le distinzioni fra relazioni business to business e business to consumer saltano perché la nuvola funge da fortissimo elemento di disintermediazione della gerarchia delle relazioni. I primi a sfruttare appieno queste possibilità sono proprio gli individui che si orientano in questo mare magnum senza vincoli di sorta, ricostruendovi in maniera amplificata i loro sistemi sociali. Ma come può un’azienda (che è un organismo molto complesso) muoversi in maniera efficace nello stesso ‘technium’ in cui navigano e operano insieme e contemporaneamente le sue reti distributive, i suoi partners e soprattutto i suoi clienti attuali e potenziali ma anche i suoi concorrenti? Come possono cambiare i suoi modelli operativi, il suo modo di comunicare e di relazionarsi? E la sua organizzazione e i mestieri delle persone che vi operano? Forse è da qui che bisognerebbe partire nella riflessione strategica anziché porsi il problema decisamente secondario di ‘cosa fare coi social-network‘, tema che pure ossessiona da tempo gli strateghi del marketing. Nella modalità di relazionarsi nel ‘technium‘ è in questione l’identità stessa delle imprese.
immagine: il tratto ingenuo e grafico della pittura di Keith Haring trae in inganno: la sua pittura sembra suggerire la dispersione della identità in un sistema di forme individuali perfettamente ad incastro dove nel petto degli individui (non sempre) al posto del cuore batte una ‘x’ che ne segnala l’assenza.
<FOR ENGLISH READING FRIENDS>
In subsequent phases of its evolution ICT moved from pure computation to control of production processes thus transforming their efficiency and flexibility and altering the traditional man-to-machine relationship. Right after, the miniaturization of components allowed digital technology to be embedded in products, bringing along a tremendous evolution of their functionalities: none of us is capable anymore of exploiting all of the functions of a common household appliance.
Nowadays ICT technology is directly in the hands of final users and follows them everywhere through the combination of client devices and the net: all the functions performed by the net (and all of the relations enabled by it) are available to all the devices we use to communicate, i.e. PCs, laptops, tablets, smartphones but also TVs, household appliances, cars, etc. Each time we use them we are immersed in what Kevin Kelly defines as the ‘technium’, i.e. a layer of connectivity so pervasive to seem inextricable and limitless. This specific evolution, which became patent with the advent of the pc, started with the invention of the radio as it brought along real-time universal connection.
From the advent of cellular phone and its convergence with the evolution of PCs and the internet the landscape change acceleration became quadratic: most people all over the world can afford to keep in touch with anybody else (individuals, groups, companies, institutions, associations, the media, even unknown clusters of other people) without any hierarchical mediation, constantly engaged in a never-ending interaction. Such is the result of the accumulation and simultaneous layering of all the different components of the digital revolution: computers, mobile communication devices, networks, the web, multimedia contents, applications, user interfaces, digital equipments, data bases, etc.
It is very difficult to find a powerful enough metaphor to describe all this: maybe the cloud (a platonic concept after all) is the best way to depict it: an almost immaterial medium, abstract, eminent, undefinable in its limits through which all the possible meaningful connections of anybody with anything can be delivered. In such a context also the traditional distinctions between business to business relations and business to consumer ones become feable because the cloud disrupts all the typical relational patterns and mainly hierachical ones. Individuals can take immediate advantage of it with no restraints, thus augmenting by far their relational (and social) capabilities.
So, how can companies (a slightly more complex organism) take advantage of the ‘technium’, provided that they are floating in it at the same time along with their networks, partners, clients and potential ones and also competitors? How can companies adapt their processes, organizations, operations and relations? And how can workers’ abilities, competences, culture and attitude evolve accordingly? This is a far more intriguing and challenging set of questions than the one that sound like ‘what should we do about social-networks?’, which seems so deeply to engage marketing strategists lately. The way companies interact in and with the ‘technium’ is redefining at the core their identity.
image: the naive trait of Keith Haring’s paintings i deceiving: at stake is the dispersion of identity in a system of perfectly-fitting individual forms signaling their missing hearts.
Ciò che è riportato a commento dell’immagine di Haring è davvero illuminante, come del resto il tema del Technium. Sinceramente non sono un esperto di economia ma, visto che anch’io, dal risveglio mattutino, vengo catapultato nella rete attraverso flipboard , forum, blog e social, trovo davvero meravigliosa questa opportunità che gli individui e le aziende hanno, ed è vero, non c’è gerarchia, è tutto estremamente semplice ed economico. L’altro giorno mi è capitato di imbastire un dialogo impossibile con un artista che amo e che se non ci fossero i bit ed i byte che scorrono sul rame o sulla fibra, sarebbe stato davvero improbabile. Ma in tutto questo nirvana binario, in questa trama esponenziale, sento che paradossalmente, dandoci mille mezzi per comunicare stiamo disimparando a comunicare. L’altra sera, al ristorante, banalissimo esempio ma non troppo, io e la mia compagna ci siamo messi a fissare un tavolo vicino al nostro; era composto da circa 20 persone, una decina di adulti over 40 e una decina di ragazzi/e che andavano dai 14 ai 25. Ora, la parte destra del tavolo, quella degli adulti, parlava in modo very load, dalla parte sinistra non si sentiva un solo suono, erano tutti con un cellulare in mano, alcuni avevano anche un tablet, nessuno parlava, ogni tanto si sentiva qualche commento.
Sembrava un film di Bunuel, ricordo, io ho 45 anni, che durante queste tavolate, noi ragazzi facevamo un casino incredibile, ora è l’esatto opposto.
E sopratutto, frequentando ambienti giovani, rilevo sempre di più una grande difficoltà nell’esprimere attraverso la voce e la bocca, parole, emozioni, espressioni.
I giapponesi dicono che la voce è la più grande virtù del Budda, perchè è attraverso quel mezzo che si arriva al cuore delle persone.
Non voglio fare demagogia o risultare essere un nemico del progresso, perchè non lo sono anzi, se pensiamo che possiamo girare un film in HD o registare un session musicale con prestazioni professionali stando seduti su un comodo divano … ma sento che dobbiamo tornare all’analogico, almeno nel comunicare, quando possiamo, le nostre emozioni, senza usare emoticon ma tornando ad usare i muscoli facciali.
Nella mia esperienza in azienda, i clienti si salvavano andandoli a trovare, parlando con loro, portando il proprio corpo davanti al loro, certo, molte volte per risparmiare la videoconferenza è utile ma ho paura, che a lungo andare, tutte queste possibilità, come l’uso delle parole che hanno perso il loro reale significato, possa un giorno, lentamente crearci seri problemi.
Caro Fabri,
quel che dici è intuitivamente vero e mi costringe ad uscire da un discorso economico e funzionale. Lo faccio volentieri e d’altra parte come potrei sottrarmi? Lo capiamo istintivamente tutti che non c’è armonia nella pervasività della tecnologia: essa ha avuto successo, ha preso tutto lo spazio possibile ma non significa che questo sia esclusivamente un bene, neppure per le imprese. Il libro di Kevin Kelly (fondatore di Wired) e che cito nel post si chiama non a caso ‘Cosa vuole la tecnologia’: le parti si sono invertite; la nostra antropologia sta diventando un’appendice del tecno-sistema. E’ un tema importante e anche una svolta, peraltro preannunciata dai greci millenni fa: eh si, anche essi erano affascinati dal tema dell’automata, come ‘altro da sè’ dell’uomo; anch’essi erano nel pieno della riflessione esistenziale sulla alienazione. Poi arrivò Aristotele e la questione prese decisamente una piega molto netta: scienza razionale e techne per il bene dell’umanità. Eppure al centro di un nuovo Umanesimo anche economico c’è anche la capacità di collocare la ‘techne’ e i suoi strumenti al loro posto e in questo senso la cultura d’impresa deve essere in grado di porsi il problema non in maniera strumentale ma attraverso una riflessione sulla propria identità e utilità. In un seminario di anni fa alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa dal titolo ‘La Rete e la Tela’ dedicato proprio alla pervasività delle tecnologie ICT, mi fu chiesto cosa fosse per me la tecnologia e io risposi che per me la tecnologia era lo specchio preciso della nostra civiltà perché nella sua potenza si rifletteva la nostra impotenza (l’incompiutezza del nostro progetto umano) perché – come spiega il mito filosofico greco – abbiamo voluto fare l’esperienza della comodità dell’esserci contro l’impervia via dell’Essere: noi siamo in una esperienza che abbiamo fortemente voluto! Dobbiamo guardare bene dentro lo specchio, sia come individui che come organizzazioni per capire cosa vogliamo noi dalla techne avendo capito cosa ella vuole da noi, altrimenti.