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La foto di Lisheng Chang mostra i segreti di una cucina sconosciuta e ci fa riflettere sul fatto che la comprensione del mondo che vediamo è basata sulla comprensione del suo “codice”, quell’insieme di implicito, invisibile e non detto che ne è il fondamento e che diffonde in continuazione il suo messaggio. Da Unsplash.com.

Se riflettiamo sui trend siamo in grado di suggerire in anticipo ai clienti delle innovazioni e partecipare direttamente alla creazione di valore. Oggi più che solo il “dato” è anche il suo “significato” che fa la differenza. Banale, vero? In un’epoca di grandi e veloci cambiamenti dove prodotti e tecnologie diventano obsoleti rapidamente e dove nel con- tempo esiste una (apparente) crisi strutturale della domanda, chi offre qualcosa al mercato sente il bisogno profondo di capire prima cosa sta succedendo. Avventurarsi nella giungla (o il deserto) della modernità senza strumenti di conoscenza, senza una mappa del territorio è molto, molto difficile e può essere fatale. In un contesto aziendale poi diventa ancora più difficile giustificare scelte e investimenti senza un razionale che sia facilmente comprensibile e largamente condivisibile da molti.

Il fronte delle ricerche di mercato è sempre stato appannaggio delle grandi aziende btoc: la conoscenza del consumatore, delle sue inclinazioni e dei suoi criteri di scelta hanno fatto fare al marketing dei passi da gigante dagli anni ’60 in avanti per poi portarlo al centro dell’economia produttiva. Tutte le grandi corporation in tutti i settori usano il marketing a sostegno della loro capacità di comprendere il mercato così come per la promozione dei loro prodotti e della loro reputazione: le aziende che operano nel fashion usano il marketing per sostenere un’immagine della moda come “centro della società”. La strategia di aziende come Gucci, Prada, Hermes, Nike o D&G è quella di investire molto nel sostenere l’idea della (loro) creatività come elemento centrale negli stili di vita delle persone, l’esclusività come elemento attrattivo e di valore, la riconoscibilità come elemento di distinzione, lo stile come caratteristica centrale nella personalità.
Le loro reti distributive, la loro presenza nella società, il loro cosmopolitismo, l’eterogeneità dei mercati che servono sono di per sé una fonte inesauribile di ricerca sociale, un osservatorio privilegiato sul mondo e una grande fonte di spunti creativi.
Poco importa se nella realtà il loro obiettivo economico è giocoforza quello opposto di massificare e uniformare le scelte del loro pubblico. O se, come mostra il recente caso di D&G in Cina, il loro concetto di globalismo e cosmopolitismo è spesso confuso o unilaterale.

Lo stesso dicasi per le aziende farmaceutiche abituate a sondare (ma anche a influenzare) gli umori di società intere, ad agire sui consumi globali facendo leva sull’archetipo della salute e della guarigione per tutti. Così anche per le aziende produttrici di auto, che hanno a loro volta una sonda nella società molto profonda per quanto riguarda gli stili di vita, l’estetica ed il design, il progresso tecnologico (la connected car nasce tardivamente dall’osservazione dell’uso delle nuove tecnologie della comunicazione), così come le fonti energetiche. Le domande implicite cui questi settori attenti forniscono risposte progressive sembrano stare a cuore a tutti: il futuro dell’auto sarà elettrico o ibrido? Qual è il sentiment che sdogana l’elettrico e condanna il diesel ma (forse) non la benzina o il metano? Come saranno fatte le reti di rifornimento di domani? Chi userà ancora la macchina? Quale sarà l’evoluzione dei trasporti sociali? E quella della shared-mobility? … CONTINUA

Questo è il primo di una serie di estratti dal libro ‘Senza aspettare Godot’ nel quale affronto il tema dello sviluppo attraverso un’analisi di contesto dell’impresa industriale italiana e dieci semplici ricette imprenditoriali per passare all’azione.