(SEGUE … da parte 2)
E’ evidente che gli strumenti analitici del web-marketing sono straordinari e che il livello di accuratezza dei dati è assolutamente micrometrico: provate a guardare le statistiche della vostra pagina Facebook o del vostro blog (se ne avete uno) o i Google Analitycs del vostro sito e rimarrete esterrefatti dal livello di dettaglio e accuratezza e anche dalla mole dei dati disponibile. Purtroppo si tratta pur sempre di metriche che si riferiscono al comportamento di un soggetto in un contesto circoscritto, per quanto si voglia pensare il contrario; cioè vasto in quantità ma ristretto nel genere. Dunque resta da stabilire una correlazione fra questa micrometrica frequentazione del serraglio digitale e le intenzioni vere di chi lo frequenta una volta uscitone (ammesso che ne esca). Le nostre motivazioni, inclinazioni, abitudini e che si tratti di un atto di acquisto, di una visita in negozio, di un voto o di una manifestazione qualsiasi di concreto interesse, esse restano largamente imprevedibili anche se influenzabili.
Molti si lamentano che pur ricevendo molti ‘like’ o anche commenti fanno fatica a capire quale possa essere l’inclinazione reale di chi li esprime.
Prima le agenzie pubblicitarie tradizionali con pochi clienti riuscivano a controllare (letteralmente) budget milionari (in euro) e oggi che molte di loro si sono trasformate in web-agencies devono rispondere (senza saper bene cosa dire) alle domande e aspettative spesso mal riposte di migliaia di esigentissimi micro-clienti che vanno dal ristorante appena aperto, alla catena di franchising (che fa digital marketing per conto dei suoi affiliati), alla azienda media che magari si affaccia all’estero, alla multinazionale.
Le questioni di fondo da ragionare sono tutte incredibilmente familiari:
1. E’ un bene che la comunicazione viaggi sulla quantità anziché sullo specifico? E’ preferibile che dia poco a molti o tanto a pochi, che selezioni o espanda, e soprattutto: quale utilità e beneficio fornisce e a chi?
2. E’ astuto usare la componente sociale del web per insinuare valori di tornaconto economico o alla lunga è controproducente? E con quale scusa lo si può fare, con quale giustificazione? Le imprese possono davvero esprimere un valore sociale sufficientemente svincolato dal loro tornaconto economico da poter essere accettato e fruito dai più?
3. Se lo spazio di comunicazione raggiungibile dalla rete è ormai già così affollato, non conviene – forse – dedicare ancora più attenzione a sviluppare contenuti di prodotto e di servizio fortemente distintivi e che creino valore sostenibile nel tempo e affidare a loro il nucleo della strategia di comunicazione? E usare i diversi canali di comunicazione in maniera tattica chiedendosi sistematicamente, dati alla mano e sale in zucca, se essi siano (e come) davvero funzionali ad esprimere e difendere un valore distintivo.
Tutto come prima? ovviamente no. Chiunque si occupi di comunicazione queste domande se le deve porre in maniera sistematica e con un pizzico di anticonformismo; gli individui, sempre più evoluti, se le pongono già. Così, lo sviluppo della ‘téchne‘ ancora una volta invece che esimerci dal pensare e sperimentare e poi pensare ancora, ci costringe a farlo ad un livello più sottile … e impegnativo e ad un ritmo meno confortevole.
Nell’immagine il pianista canadese Glenn Gould sulla sua bassa e scassatissima famosa sedia. Solo un aspetto evidente di un modo di suonare del tutto eccentrico che ha rivoluzionato il modo di intendere la musica classica (a partire da Bach). Ma quando si suona a certi livelli di eccellenza ed intensità totale si ridefinisce completamente l’ambito in cui si agisce e anche le regole del gioco. Si produce un impatto così forte, profondo e duraturo che il segnale, anziché perdersi, viene colto trasformato e rinforzato lungo il suo percorso in maniera imprevedibile e spontanea. Quelli come Gould si possono sedere su qualsiasi cosa e la sua è una lezione di comunicazione estremamente radicale.
I punti 1, 2 e 3 aprono una grande riflessione “morale” di utilizzo del mezzo e delle risorse da investire. Il web può aiutare e facilitare la notorietà, a costi e con passi accessibili, ma non bisogna mai perdere di vista l’opportunità di ricercare costantemente la personalità della nostra Impresa. Mai dimenticare quindi che il web è un mezzo non un contenuto e mai un sostitutore della realtà!
è vero. molte imprese, soprattutto produttori, non comunicano la loro identità o meglio – come dici tu – la loro personalità. secondo loro è un elemento non pertinente rispetto, che so, al prodotto, ai mercati, alle tecnologie. è una prospettiva straordinaria. quanto alla tua osservazione sul mezzo e il contenuto, ti invito a leggere il divertente ed illuminante libro (ha 40 anni e passa) di Marshall McLuhan: Il media è il messaggio. questa identità fra contenuto e contenitore al tempo era una sonora provocazione ma oggi è una prospettiva su cui riflettere. la poesia per Aristotele era nel suo ‘farsi’. l’idea di McLuhan era molto più sensata di quanto sembri: se ricercassimo, con uno sforzo onesto e creativo, una identità coerente fra il modo con cui ci esprimiamo e le cose che esprimiamo alla fine troveremmo semplicemente il nostro stile personale. una bella prospettiva, non trovi?