Discutendo qualche tempo fa con un amico che si occupa di soluzioni di customer management eravamo giunti alla conclusione che il marketing one-to-one, cioè la possibilità per le aziende di entrare in contatto con ogni singolo cliente, è forse da archiviare come una di quelle cose che ci suonano così bene quando vengono evocate ma che non sono mai esistite nella realtà. Non sembra ci possa essere organizzazione industriale, prodotto, tecnologia di comunicazione o piattaforma logistica che consenta di considerare i clienti uno ad uno. (FOR ENGLISH SEE BELOW)
L’organizzazione industriale prima e la civiltà dei consumi poi sono proprio nate sul presupposto che la produzione e poi diffusione più ampia possibile di beni (e anche di servizi) consentisse di spalmare sulla più larga scala possibile gli investimenti ed i costi (ma anche i rischi) connessi alla produzione di beni alzando di contro la marginalità connessa alla loro vendita. Dunque la civiltà dei consumi è il corollario necessario e imprescindibile della diffusione della civiltà della produzione industriale.
La teoria economica marxista è forse la prima analisi strutturale che lega il tema economico sul modo di produrre merci alla riflessione sociologia (e non solo morale come in Smith). Chi si prendesse la briga di leggerlo (senza riferirne per partito preso ideologico) rimarrebbe colpito dalla vivace attualità del suo pensiero per quanto esso sia in larga parte insufficiente ormai come chiave di lettura della complessità dei nostri tempi.
Marx nella sua critica ha sempre in mente due aspetti: uno strettamente economico, per il quale la formazione del plusvalore (margine, utile) è un’usurpazione dei diritti del lavoratore e uno più strettamente sociologico, secondo cui la produzione di massa si realizza attraverso un rapporto uomo-macchina alienante. In questo rapporto la natura stessa dell’uomo viene distorta facendone una pura appendice del ‘tecnosistema’. Questo secondo aspetto della critica marxiana (spesso trascurato) apre la strada, a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo appena passato fino ad oggi alla critica sociologica (Marcuse, Fromm, Baudrillard, etc.) della civiltà dei consumi: l’operaio-produttore diventa consumatore e le considerazioni legate alla alienazione provocata dal ‘modo di produzione’ si trasferiscono al suo nuovo ruolo coatto, costretto com’egli è ad ogni costo (pena la perdita di status) a consumare ciò che è stato prodotto e così mantenere concretamente la sua dipendenza dalla ‘macchina produttiva’.
Ma anche questa fase volge al termine. Ne parleremo nel prossimo post.
immagine: nella geniale sequenza del film di Charlie Chaplin, l’uomo preso nel meccanismo che lo sta stritolando sorride ammiccante. L’alienazione non è disgiunta da una sorta di compiaciuto senso di appartenenza e di status.
ENGLISH VERSION
While discussing with a friend who is professionally engaged in customer management solutions we came to the conclusion that one-to-one marketing will never come around although it sounds great. How can any industrial organization, product or communication technology or even logistic solution be addressing single customers, one by one?
In reality industry is based on the assumption that both production and distribution of goods and services are economically sustainable only on the largest possible scale: on such a scale, investments gain a return, margins outweigh costs and risk is mitigated. Therefore consumerism itself is a necessary consequence of industrial civilization.
Marx economic theory is maybe the first scientific attempt to link the economics of production to sociology (as opposed to Adam Smith’s earlier ethical approach). If we get rid of prejudices sorrounding his ideology, reading Marx is still a very interesting exercise although much time (and increasing complexity) has passed since.
Marx’s criticism is two-folded: the (renowned) economical fold states that margins forms out of an act of alienation of value by the capital at the workers expense; the sociological fold in addition suggests that mass-production results into a second form of alienation hidden into man-machine interaction. In this interaction human nature itself is distorted into a sort of appendix of a techno-system. This second aspect of Marx’s criticism (less famous) gives way – starting from the 1960s up to nowadays – to a strong criticism (Marcuse, Fromm, Baudrillard, etc.) of the consumerist civilization: the worker/producer becomes a consumer in a never-ending chain in which alienation is transfered from his productive social function to his private/after-work life: his freedom is traded in for a compelling social-status and he is now pushed to consume what he has produced, thus becoming totally dependent from the production apparatus.
I believe also this step is phasing out. We will resume the discussion in a following post.
image: Charlie Chaplin’s character, although entrapped in a huge and overwhelming mechanism, shows still an alluring smile. Alienation comes along with a smug sense of ‘belonging’ and status.
Nella civiltà dell’utilità e della creazione del valore per la persona è obbligatorio per un sempre maggior numero di persone sentirsi protagoniste non di un solo atto di acquisto ma anche della creazione di un vantaggio distintivo per sè, per gli altri per l’ambiente. Il ridotto potere di acquisto delle persone obbliga poi le aziende a rendere disponibile la loro qualità al maggior numero di persone possibile al minor costro possibile e questo anche attraverso la disintermediazione parziale o totale dei canali distributivi sopratutto quelli più lunghi. Se si accetta questo cambio di civiltà dalla civiltà dei cosumi di massa a quella dell’utilità distintiva e dellacreazione di valore per la persona allora il rapporto diretto tra azienda e persona utilizzatrice dei prodotti e/o servizi diventa una componente imprescindibile del nuovo prodotto/serrvizio. Quest’ultima affermazione apre il dibattito sul come fare, sulle esperienze di successo e di insuccesso sul quale vorrei confrontarmi con tutti Voi.
… Il confronto è aperto … mi pare che il commento di Attilio apra la strada al tema della ‘progettazione del nuovo’, di una modalità di apprendere da esperienze che non abbiamo fatto prima d’ora. Di un nuovo modo di fare impresa.
Forse è vero che sempre un maggior numero di persone vuole sentirsi protagonista come di ce Attilio, però se guardiamo la realtà dalla parte del consumatore non è per niente vero che cerca di distinguersi dalla massa, anzi se prendiamo come esempio Apple ha dimostrato che la massa corre ad acquistare l’ultimo modello facendo ore di coda per ottenere un telefono “bello” ma sicuramente molto più costoso della media, che poi nel breve tempo la massa ottiene acquistandolo a rate dai gestori telefonici, che quindi in quel momento lo trasformano da oggetto distintivo ad oggetto di massa, e ci si ritrova che chi acquista un telefono come quello della Stonex, spende un terzo del telefono Apple ed lui che si distingue per originalità.
Chi fà la differenza è sempre il venditore che se capace di mettere la suspance adeguata al prodotto offerto ottiene il successo maggiore, e tutto senza doversi inventare metodi nuovi di vendita..
Alessandro, la tua osservazione è pertinente e lascio ad Attilio il compito di risponderti, invitando tutti a prendere il tuo commento in considerazione. Può darsi che un prodotto quando è eccellente e/o mette in campo dei valori simbolici ottenga ancora un certo vantaggio perché anche nello scambio di merci entrano valori immateriali che soddisfano bisogni di identificazione, sicurezza, status, etc.. Nel caso di Apple – però – c’è di più: ci sono dei valori di innovazione fortissimi che prescindono sia dalla strategia di comunicazione e vanno oltre al prodotto in sé; almeno cinque me ne vengono in mente: 1.la straordinaria innovazione di sistema operativo 2.la usabilità dell’interfaccia utente 3.la gamma integrata che va dal Ipod al pc 4.l’uso straordinario del cloud nell’integrazione dei servizi di comunicazione (non solo fra apparati ma anche verso i social media) 5.il concetto di digital store. Dunque non stiamo più parlando di un semplice ‘prodotto’ quanto di un ‘sistema di comunicazione’. Davvero difficile da imitare.
Quanto a Stonex (che invito tutti a conoscere sul sito http://www.stonexsmart.com e che io stesso ho conosciuto grazie ad Alessandro) esso rappresenta una alternativa interessante soprattutto come posizionamento di prezzo e modello distributivo. In questi due aspetti esso può ‘rompere le regole’ , come recita il pay-off. Vediamo come riesce a conquistarsi un successo che gli consenta di crescere ed evolvere: se i prodotti sono imitabili, i sistemi di comunicazione integrata molto meno; e siccome è un caso di imprenditoria italiana e giovane, come tale suscita almeno una forte simpatia.