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Stavolta vi chiedo una mano: per motivi strettamente professionali sto facendo una riflessione critica sulla utilità degli strumenti di comunicazione digitale ed in particolare sui social media. Nel cercare di dare una forma all’evoluzione degli strumenti di comunicazione digitale (blog, social network, web 2.0 in senso lato) mi sono accorto di dover in qualche maniera contestualizzare e ‘mettere a terra’ il pregiudizio fortemente positivo e ottimistico con cui ho sin qui considerato questi strumenti e dovermi porre il problema concreto della loro effettiva utilità ed efficacia come strumenti di sviluppo. Così mi è venuto spontaneo condividere alcune perplessità (delle cose positive abbonda la letteratura) con chi segue il blog e chiedervi un contributo alla riflessione. Qui di seguito alcuni spunti di riflessione.

qui pro quo1. Non sono del tutto sicuro che i social media possano rivestire l’enorme efficacia potenziale che li contraddistingue finché chi li usa non avrà bilanciato la comprensibile e irreprimibile spinta a parlare di sé con un’altrettanto potente e strutturata capacità di ascoltare gli altri. Il rischio altrimenti è quello di trasformare la rete in una sterminata vetrina in cui tutti si mettono in mostra e parlano di sé e non fra loro prevalentemente preoccupati di esporre la propria merce comunicativa e ottenerne un riscontro. Ma se così fosse troppe voci si contenderebbero l’attenzione di troppe poche orecchie … anche se è pur vero che (per qualche motivo non casuale) siamo dotati di due orecchie e di una bocca sola …

2. Credo che questa considerazione valga sia nella comunicazione personale, individuale, che in quella d’impresa e rivesta direttamente anche il tema della propria identità e di come si viene percepiti: se la preoccupazione di dare una bella immagine di sé prevale sulla capacità di intrattenere un dialogo proficuo (che si tratti semplicemente di dare le informazioni che chiede il proprio interlocutore o di risolvere un semplice problema pratico) la credibilità o la propensione ad essere presi in seria considerazione (da clienti o solo da amici) ne verrà fortemente limitata. Prevarrà la preoccupazione di promuovere la propria reputazione piuttosto che migliorarla, di reagire piuttosto che migliorare, di imitare o diffondere idee altrui piuttosto che di definire una identità forte in grado di dialogare.

3. Vedo – inoltre – soprattutto nelle imprese una soverchia preoccupazione tecnica di utilizzare i social media secondo schemi conformisti costruiti a priori che assomigliano in tutto e per tutto alle prescrizioni e ricette del vecchio marketing e dei suoi strumenti di comunicazione. Eppure si tratta di mezzi molto nuovi che dovrebbero indicare strade nuove, soprattutto sul fronte relazionale. Forse il web 2.0 e i social stanno diventando semplicemente una nuova release dei media tradizionali, magari più pervasiva ma molto simile nella sostanza?

4. Mi pare – poi – di vedere che le imprese (ma questo vale anche per gli individui) che meglio sanno utilizzare i nuovi strumenti siano quelle che hanno già una forte predisposizione (ed esperienza alle spalle) nell’uso degli strumenti più tradizionali del marketing, della promozione di sé e della comunicazione e cioè imprese con risorse congrue ed una cultura consolidata. Ma questo falsificherebbe l’aspettativa che i nuovi media in generale possano essere uno strumento che abbassa la barriera competitiva a vantaggio di nuovi attori …

5. Ho poi qualche dubbio che – a parte la superficiale sensazione di essere in contatto documentabile con un numero straordinariamente più ampio di persone (e di riceverne apparente conforto nella forma di ‘like’, etc.) – ciò corrisponda ad una maggiore capacità di entrare in una relazione più forte coi propri interlocutori. Molti amici, molti like, molta visibilità … a che pro?

6. Infine mi sto convincendo che la granularità degli strumenti digitali ed il loro linguaggio così esplicito tradisca in maniera amplificata e quasi caricaturale le finalità utilitaristiche di chi li usa (magari solo per mettersi in mostra) aumentandone a dismisura il rischio di compromissione senza il rimedio costituito dalla ‘lentezza’ della relazione interpersonale. Inoltre, diversamente dalla comunicazione interpersonale, in rete l’atto comunicativo avviene alla vista di tutti e non è reversibile. Per la comunicazione d’impresa la profilassi di questo rischio porterebbe di riflesso ad annullare ogni elemento di spontaneità che pure rappresenta uno dei vantaggi delle nuove modalità di comunicazione.

Mi chiedo se questi aspetti (e molti altri che sicuramente mi segnalerete) siano un difetto intrinseco dei social media o piuttosto la manifestazione di un’occasione mancata che – per riflesso condizionato – si tende ad addebitare alla innovazione tecnologica di turno, come se il difetto fosse nella tecnologia ovvero nella sua indifferenza sostanziale ai nostri scopi e bisogni.

Mi piacerebbe sapere quale sia la vostra esperienza al riguardo. Se dalle vostre risposte ricevessi una conferma di alcune delle mie sensazioni potremmo discutere di un approccio completamente diverso al tema della comunicazione nell’era digitale: un approccio che, a fianco della necessaria dimestichezza con gli aspetti tecnici e di prammatica della comunicazione, definisse in maniera più puntuale un nuovo modello di comportamento consapevole e finalizzato alla evoluzione e ad una maggiore consapevolezza della propria identità e del proprio modo di comunicare.

Immagine: il gioco di parole scherzoso vuol mostrare che l’asimmetria comunicativa può avere i suoi effetti anche fra un numero ristrettissimo di soggetti che interagiscono. Figuriamoci in rete.